Bellocchio & Bertolucci: fratelli a distanza


Quasi fratelli, ma a distanza. Marco Bellocchio (Piacenza, 1939) e Bernardo Bertolucci (Parma, 1941). Grandi autori diversissimi ma con radici comuni e una comune ribellione alla provincia che anestetizza la rabbia e ottunde la creatività, che ti vorrebbe tenere eternamente nel suo accogliente grembo materno. Forti esperienze di psicoanalisi, rispettivamente con Massimo Fagioli e nell’interminabile setting freudiano. La Festa di Roma li ha messi a confronto con una felice intuizione scegliendo due quadri di Umberto Boccioni del 1911 (“Quelli che vanno” e “Quelli che restano”) come spunto di riflessione e provocazione intellettuale per questo duetto orchestrato da Mario Sesti. Uno dei momenti più riusciti del festival con una Sala Petrassi tutta esaurita.
La chiacchierata è stata preceduta da due piccoli lavori dei due cineasti legati dal filo sottile di un impegno generazionale comune. Marco Bellocchio ha portato Sorelle, frutto dei seminari della scuola “Fare Cinema” della natìa Bobbio, realizzato in tre diverse estati (1999, 2004, 2005) con la troupe degli allievi e con l’intervento di parenti e amici (dalle sorelle di Marco, Maria Luisa e Letizia, ai figli Pier Giorgio ed Elena, fino a Donatella Finocchiaro, protagonista del Regista di matrimoni). Dall’invettiva di Cechov contro l’immutabile alternarsi dei giorni, prende forma un quadretto familiare tra tradizione e alternativa: le due buone zie che pensano alla tomba da ampliare, la giovane madre presa dalla sua carriera d’attrice, il fratello dalle ambizioni velleitarie, la più piccola, felice di vivere alla giornata, di nuotare nel Trebbia e prepararsi alla cresima. Bertolucci, dal canto suo, ha “regalato” al pubblico romano il cortometraggio Histoire d’eaux, realizzato nel 2002 per la serie Ten Minutes Older e ispirato a una parabola buddhista sullo scorrere del tempo, che l’autore conosceva da anni e che ha ritrovato in un libro sul Dalai Lama di Carrière. Un giovane emigrante si allontana dal più anziano compagno per portargli un bicchier d’acqua, vive tutta una vita per ritrovare infine l’altro fermo sotto lo stesso albero, ad aspettarlo.

A partire da queste suggestioni, il dialogo tra i due autori si è dipanato tra dichiarazioni d’affetto, ritrosie e ricordi. “Sorelle l’ho trovato bellissimo, mi è sembrato familiare e mi ha profondamente commosso”, ha detto il regista premio Oscar. Per poi raccontare il primo incontro con l’altro. “Ero a Roma, a casa di Sandro Franchina, con alcuni amici del Centro Sperimentale e i brasiliani Paulo César Saraceni e Gustavo Dahl. Avevo 22 anni, dissi che il giorno dopo avrei iniziato a girare La commare secca, ma loro non ci credevano e si fecero addirittura dare l’indirizzo per venirmi a controllare”. Era il ’62 e Bellocchio, ancora al CSC, stava lavorando al corto Ginepro fatto uomo, ma già due anni dopo avrebbe fatto I pugni in tasca. Per Bernardo una folgorazione. “Altro che in tasca. Quei pugni mi sono arrivati direttamente in faccia. Nello stesso anno feci Prima della rivoluzione“. Più misurato Marco, che ricorda anche le notevoli differenze, il moralismo dei “Quaderni piacentini” di cui lui era imbevuto, giovanissimo intellettuale ribelle. Le differenze non sono sfuggite neppure a Bertolucci, del resto: “Lui era influenzato dal Free Cinema inglese, io dalla Nouvelle Vague francese. Io, mentre giravo, sognavo sempre di essere qualcun altro, Renoir o Godard, e pretendevo di fare le interviste in francese, facendomi subito odiare dai giornalisti italiani. Lui, invece, è sempre stato violentemente se stesso”. Bellocchio conferma: “In modo forse ossessivamente narcisistico e complicato, ma ho cercato sempre di conciliare vita e arte. Far corrispondere cioè quanto facevo a quello che ero in quel determinato momento”. Sempre di quegli anni è un ricordo dell’autore di Buongiorno, notte sollecitato dalla richiesta di aiuto di un aspirante cineasta seduto in platea: “Venne Antonioni al Centro sperimentale a presentare L’avventura. Io mi alzai e dissi: Non conosco nessuno, se le chiedessi il numero di telefono, lei me lo darebbe? Rispose no, e fu un rifiuto giusto, che mi aiutò a prendermi dei rischi”.

autore
20 Ottobre 2006

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