Aurelio Grimaldi


A. GrimaldiNon si spegne l’attrazione del cinema per il caso Moro. Nel 1986 Giuseppe Ferrara ha mostrato Gianmaria Volonté nella pelle del presidente democristiano ucciso dalle BR, nel 2003 Renzo Martinelli ha trasformato i 55 giorni del rapimento in un thriller e Marco Bellocchio ha esplorato l’universo intimo di una carceriera ispirata ad Anna Laura Braghetti in Buongiorno, notte. Tutti hanno scatenato polemiche.

Ora tocca ad Aurelio Grimaldi (La discesa di Aclà a Floristella, Un mondo d’amore) con una trilogia che va oltre l’omicidio del presidente Dc e radiografa l’Italia della lotta armata. Moro ha il volto dell’attore indiano Roshan Seth (My Beautiful Laundrette), i brigatisti sono interpretati da attori inglesi. Numerosi i nomi italiani del cast: da Guia Jelo ad Arturo Paglia, da Vincenzo Crivelli a Lalla Esposito, tutti già diretti dal regista siciliano.

Coprodotti da Gruppo Pasquino e dall’inglese Screen Tales, i tre film sono stati realizzati tra Roma e Londra con un budget base di 400.000 euro. Ma c’è un problema: “Ho girato e montato oltre 4 ore, manca una settimana di riprese e 20 minuti di film – afferma Grimaldi – Purtroppo abbiamo finito i soldi. Il produttore Leonardo Giuliano si sta dando da fare per trovarli. Lancio un appello a Sky per il preacquisto che potrebbe permettere di chiudere il lavoro all’inizio del 2005”.

Grimaldi, qual è il punto di forza del suo film rispetto agli altri?
Con piglio militante e romanzesco Ferrara ha tentato di riempire alcuni vuoti conoscitivi, anche con ipotesi rivelatesi poi sbagliate. I film di Martinelli e Bellocchio sono volutamente infedeli al dato storico. La mia trilogia riguarda il fenomeno terroristico più che il caso Moro. E la più “politicamente scorretta” perché sottolinea le responsabilità storiche del leader democristiano e si attiene ai dati storici senza cedimenti a tesi dietrologiche. Uno dei riferimenti chiave della sceneggiatura è La notte della Repubblica di Sergio Zavoli. Ho incontrato Valerio Morucci. Non gli ho chiesto come sono andati i fatti perché sono già stati appurati e confermati dai numerosi processi. Mi ha raccontato la quotidianità dei detenuti politici, i rapporti con gli agenti di custodia, la sessualità, la dissociazione.

Perchè la sua immagine di Moro è controcorrente? 

Perché il giudizio storico non è velato dai sentimenti per la sua tragica morte. Come Giulio Adreotti e Amintore Fanfani, gli altri cavalli di razza della Dc, Moro aveva accumulato un potere enorme in un momento in cui l’Italia attraversava una crisi politica e morale gravissima. Ora però tutti lo santificano per le eccezionali qualità umane, che pure il mio film riconosce, e nessuno accenna più ai suoi errori. 

Il suo punto di vista sulle BR?
Ecco, l’altro elemento politicamente scorretto è che non le dipingo come un gruppo di pazzi sanguinari ma come un gruppo politico che cercò di dare una risposta alla crisi degli anni Settanta. Certo, anch’io contesto il loro metodo violento ma non posso fare a meno di ricordare che la reazione dello Stato non fu da meno.

Roshan Seth Cosa intende?
Moro II, la seconda parte della trilogia, racconta la vita dei terroristi in carcere, le vicende giudiziarie, le scelte di pentiti, dissociati e irriducibili. Ricostruisce le torture fisiche e psicologiche a cui sono stati sottoposti. Un trattamento in pure stile Sudamericano. Nell’ultimo episodio vediamo la risposta dello Stato al rapimento: i goffi tentativi di trovare Moro, la repressione dell’estremismo di sinistra. In un montaggio diversificato compaiono anche alcuni frammenti della prigionia che invece è al centro del primo film: è girato interamente in interni tra il covo brigatista e l’appartamento della famiglia Moro.

Come descrive la relazione tra il prigioniero e i carcerieri?
Al momento del rapimento c’era forte aggressività da parte dei brigatisti. Poi la mitezza di Moro li ha “conquistati”. Hanno tentato di trovare quella soluzione politica che il partito della fermezza guidato da Andreotti e Berlinguer non ha permesso.

All’epoca lei che soluzione auspicava?
Vivevo in Lombardia. Ero al primo anno di Università e simpatizzavo per Ugo La Malfa che disse: “se le BR mi rapissero non tenete in nessun conto le mie lettere”. Solo nel 1980, dopo il trasferimento in Sicilia, ho capito che non era possibile appoggiare il governo.

Ci parli degli attori.
Roshan Seth è molto conosciuto in Gran Bretagna, ha una notevole somiglianza, la stessa età e lo stesso sorriso malinconico del Moro sequestrato. Al cast ho mostrato il film di Ferrara e materiale di repertorio. La presenza italiana è assai ricca: Guia Jelo è un magistrato in Moro III, Arturo Paglia un terrorista ispirato alla figura di Roberto Peci, il primo pentito delle BR, Gaetano Amato è un ispettore di polizia, Nino Frassica è il cappellano del carcere. Lalla Esposito è una professoressa sospesa per aver parlato in classe delle responsabilità dello Stato, un episodio realmente accaduto. Vincenzo Crivello è Marco Donat Cattin, il figlio del potente ministro democristiano e leader di Prima Linea poi dissociato.

 

A che che tipo di strategia distributiva pensa?

Sono film fruibili autonomamente quindi li manderei in sala separati. Ma la scelta spetta al distributore. Per ora è il Gruppo Pasquino ma non escludiamo l’intervento di una società più solida. 

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14 Ottobre 2004

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