Ľubomír Ján Slivka si confronta con uno dei volti più riconoscibili del Novecento occidentale, restituendone però un ritratto intimo e scomposto, lontano dalla superficie riflettente della Pop Art: Andy Warhol. American Dream.
La scelta del titolo del documentario non è casuale: “American Dream” non è solo un richiamo al sogno del successo personale, ma anche un territorio critico in cui il film agisce, smontando e ricomponendo l’icona Warhol alla luce delle sue origini, delle sue fragilità, del suo silenzioso disincanto.
Il concetto di “sogno americano” — quella narrativa collettiva che celebra l’ascesa individuale grazie al talento e al lavoro — viene messo in tensione con la biografia dell’artista, figlio di immigrati, cresciuto in un ambiente marginale e segnato dalla malattia. Warhol incarna in apparenza il successo: l’uomo che da Pittsburgh arriva a dominare la scena artistica newyorkese, trasformando la cultura popolare in arte alta e se stesso in un marchio. Eppure, Andy Warhol. American Dream non indulge in questa mitologia: la scava, la smentisce, la osserva da un’angolazione più inquieta.
Slivka opta per una visione misurata e lirica, predilige i contrasti tra ambienti come chiavi visive per suggerire un’identità mai del tutto risolta — la ruralità slovacca, silenziosa e atemporale, e la frenesia metropolitana della Factory. L’alternanza tra i luoghi dell’infanzia e gli spazi del successo sottolinea quanto il sogno americano, nel caso di Warhol, si porti dietro il peso di uno sradicamento e di un’invisibilità che nemmeno la fama può colmare.
Le inquadrature lente, i silenzi, le musiche e le testimonianze familiari contribuiscono a un tono meditativo, che avvicina lo spettatore a un Warhol privato, a tratti vulnerabile, mai del tutto riconciliato con l’immagine pubblica che ha costruito.
Nel film, il “sogno americano” si trasforma in un sogno osservato da dietro uno schermo, come in una delle video-installazioni di Warhol stesso: distante, ripetitivo, inafferrabile. Se la cultura pop celebrava il consumo e l’iconicità, il documentario suggerisce invece un bisogno opposto, ovvero quello di riavvolgere la pellicola e cercare, sotto la superficie liscia delle immagini, una traccia di verità più profonda. Warhol appare allora non come un trionfatore, ma come un uomo che ha messo in scena la propria dissimulazione, trasformando l’identità in performance.
Andy Warhol. American Dream è un documentario che interroga il sogno americano non tanto per celebrarlo, quanto per esplorarne le contraddizioni attraverso una delle sue figure simbolo, così la regia sobria e il racconto intimo restituiscono un Warhol che si muove tra successo e solitudine, tra l’industria dell’immagine e la nostalgia delle origini. Un artista che ha saputo raccontare il tempo in cui viveva, ma che — come il sogno che dà titolo al film — resta, in fondo, un enigma.
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