Amedeo Modigliani: “Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi”

Debutta su CinecittàNews la rubrica bimensile ‘Cornici di celluloide – storie tra tela e schermo’, dedicata a indagare il punto d’incontro tra grandi pittori, scultori, architetti e cinema


“Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi” è una delle frasi più celebri attribuite ad Amedeo Modigliani, specchio della profonda connessione tra l’artista e i suoi soggetti; per Modigliani l’essenza interiore di chi fosse protagonista del ritratto era fondamentale per la riuscita della rappresentazione esteriore.

Nasce a Livorno (12 luglio 1984), città che lo forgia e con cui lo si identifica, ma lascia la vita terrena all’Hôpital de la Charité di Parigi, il 24 gennaio 1920, 105 anni fa.

Il cinema ha affrontato la figura di Modigliani con un’ammirazione che spesso sfiora la mitizzazione, trasformando la sua vita in un racconto dove il genio artistico e il tormento personale s’intrecciano indissolubilmente: da Montparnasse 19 al Modigliani di Mick Davis, il pittore è stato disegnato sul grande schermo come artista romantico, vittima sia di una società incapace di comprendere la sua statura, sia del suo stesso carattere autodistruttivo. Tuttavia, in molti casi, la profondità dell’uomo e il rigore del suo percorso d’arte vengono sacrificati sull’altare di una narrazione drammatica e sentimentale.

Sono interpretazioni come quelle di Andy García o Gérard Philipe a catturare il carisma e il pathos del personaggio, seppur non raramente esasperandone i tormenti, relegando così la dimensione creativa a uno sfondo marginale. È un approccio che rischia di circoscrivere Modigliani a una figura iconica, più adatta al mito che alla realtà storica. Documentari come Maledetto Modigliani e Le vere false teste di Modigliani, invece, provano a gettare il cuore oltre il prevedibile esplorando altre prospettive: il primo con un racconto intimo filtrato dalla voce della sua musa, Jeanne Hébuterne, il secondo elaborando una riflessione critica sulla percezione dell’arte e del genio.

Se, su un fronte, il cinema ha saputo valorizzare l’immagine bohémienne del livornese e la potenza visiva delle sue opere, dall’altro ha mancato spesso di restituirne la vera complessità, riducendolo appunto a un profilo tragico e romantico, rischiando di raccontarne una versione semplificata e idealizzata, che perde di vista la vera portata innovativa della sua arte e le contraddizioni che ne hanno segnato l’esistenza. L’artista Modigliani merita un racconto poco epico, ma più autentico e stratificato, capace di rendere giustizia non solo all’uomo, ma anche al maestro.

Diretto da Valeria Parisi, MALEDETTO MODIGLIANI (2020) è un documentario che rintraccia la giusta sapienza per fondere arte e intimità, ripercorrendone la vita tormentata attraverso lo sguardo della sua musa e compagna, Jeanne Hébuterne. La poesia, la sua essenza, fa da binario narratore e s’intreccia con preziosi materiali d’archivio, offrendo così una visione profonda dell’uomo dietro l’artista. È un’opera sì lineare, ma non per questo piatta, anzi onesta nella restituzione del talento e del dramma di un’anima destinata all’immortalità. Nel documentario di Parisi, la figura Modigliani non è rappresentata attraverso un singolo attore, ma evocata dalle parole di Hébuterne e dalle sue opere immortali. Questo approccio narrativo consente di mantenere un’aura di mistero intorno all’artista, lasciando che le sue creazioni raccontino il tormento e la bellezza che lo animavano. Jeanne si fa lente d’ingrandimento attraverso cui lo spettatore esplora Modigliani, un espediente che evita la personalizzazione diretta ma che, in parte, può rendere il personaggio più distante: è una scelta naturalmente, dettata probabilmente dal desiderio di rendere Modigliani un simbolo dell’arte.

Con MONTPARNASSE 19 (1958) Jacques Becker firma un ritratto struggente degli ultimi giorni di Modigliani, con una fotografia che sfiora il pittorico, e in cui la discriminante è offerta dalla delicatezza malinconica interpretata da Gérard Philipe, che incarna Modigliani con una raffinatezza che mescola fragilità e intensità emotiva, catturandone lo spirito decadente senza però cadere in facili stereotipi. La sua recitazione riesce a incarnare il conflitto interno dell’uomo diviso tra il bisogno di riconoscimento e il rifiuto delle convenzioni borghesi; dona al personaggio una fisicità languida e poetica, che si sposa con l’atmosfera nostalgica del film. La Parigi bohémienne diventa sfondo vivido che amplifica l’alienazione di Modigliani, e la storia esplora con eleganza la dimensione esistenziale dell’artista, lacerato da povertà, dipendenze e amori tumultuosi. Philipe trasmette con sapienza la consapevolezza di un destino tragico, rendendo ogni gesto pregno di significato. Tuttavia, il film si concentra maggiormente sugli aspetti romantici e autodistruttivi della sua esistenza, sacrificando in parte la rappresentazione della sua ricerca artistica. Becker riesce in un’opera che vibra della stessa intensità tragica delle tele del pittore.

Per Mick Davis “basta” una parola a raccontare il tutto: MODIGLIANI (2004), che mette in scena una versione romanzata della vita dell’artista, interpretato da Andy García, a disposizione del personaggio con un’interpretazione immersiva e drammatica, che enfatizza il carisma e la passionalità. La performance è magnetica, ma talvolta eccede in pathos, spingendo il personaggio verso una dimensione quasi operistica. García riesce a trasmettere il genio e la sofferenza di Modigliani, ma il film lo riduce al protagonista di un melodramma romantico, dove la rivalità con Picasso e l’amore per Jeanne Hébuterne prendono il sopravvento sulla complessità dell’uomo e del creatore d’arte. L’intensità emotiva non si discute ma manca una rappresentazione delle sfide creative di Modigliani, così l’attenzione si concentra troppo sui suoi tormenti intimi. Si enfatizzano, appunto, il rapporto competitivo con Picasso e l’amore passionale con Jeanne, sacrificando la profondità psicologica a favore di un melodramma visivamente ricercato. È vero, le licenze artistiche non mancano, ma questo non impedisce sia un racconto avvincente e seduttivo per lo spettatore.

È il Modigliani più recente, visto in anteprima nell’ottobre appena trascorso alla Festa del Cinema di Roma, quello di Johnny Depp con Riccardo Scamarcio che con MODÌ: THREE DAYS ON THE WING OF MADNESS si avventurano e s’immergono in tre giorni decisivi della vita dell’artista. La scelta di concentrare la narrazione su un frammento così intenso della sua esistenza amplifica densità e intimismo, seppur Depp non riesca a restituire davvero Modigliani, ma un più retorico “artista maledetto”, che sembra riflettere più se stesso che non il pittore che ha preso in prestito per fargli da alter ego. Scamarcio cerca di bilanciare fascino enigmatico e vulnerabilità umana, ma non personalizzando troppo il soggetto, simile – per esempio – al Caravaggio interpretato per Placido. Il film non ha schivato la trappola della mitizzazione e offre appunto un ritratto poco individuale e più vicino al cliché, inoltre con il rischio corso – e confermato – di sovraccaricare la narrazione di estetismi.

C’è un altro doc italiano, LE VERE FALSE TESTE DI MODIGLIANI (2011), che sceglie l’intelligente ironia per narrare l’episodio delle false sculture attribuite al maestro, fatto reale che sconvolse l’intero mondo dell’arte nel 1984. Attraverso interviste e ricostruzioni, il film non solo documenta uno dei più grandi scherzi artistici del XX secolo – per altro, in perfetto spirito labronico – ma invita a riflettere sulle fragilità della critica e sul concetto stesso di autenticità. Il doc di Giovanni Donfracesco è brillante e provocatorio. Per questo racconto s’è deciso di non scegliere un attore nel ruolo di Modigliani, ma s’evoca la sua figura attraverso l’ironia dell’episodio e la presenza di Amedeo è quasi spettrale, una costante che si percepisce senza essere mai incarnata: pur non essendo una rappresentazione diretta, il film suggerisce un’immagine dell’artista come un uomo il cui mito, anche postumo, continui a sfidare il mondo dell’arte. Modigliani appare come un simbolo di autenticità in un universo dominato dall’inganno, e la scelta di raccontare questo evento attraverso testimonianze e ricostruzioni invita a riflettere sul rapporto tra arte, critica e verità. Nella realtà, si narrava che Modigliani avesse gettato delle sue teste nel Fosso Reale di Livorno e poi successe – davvero – che durante una campagna di scavi furono ritrovati tre capi scolpiti, attribuiti inizialmente all’artista. La scoperta fece scalpore ma la verità è che alcune delle teste erano state realizzate da studenti e artisti locali per ridicolizzare l’eccessiva serietà della critica d’arte.

E a proposito di leggende – facendo una digressione dal cinema, ma restando naturalmente sull’artista – Amedeo Modigliani, figura emblematica dell’arte del XX secolo, è sempre stato circondato da aneddoti che ne sottolineano il carattere anticonformista e passionale: uno emblematico riguarda l’unica mostra personale di Modigliani, tenutasi nel 1917 presso la galleria di Berthe Weill di Parigi. L’esposizione presentava una serie di nudi femminili che, per audacia e sensualità, suscitarono scandalo. Le opere, con pose provocanti e dettagli intimi, attirarono l’attenzione delle autorità. La polizia, ritenendole oscene, intervenne il giorno dell’inaugurazione, costringendo la gallerista a chiudere l’esposizione. Questo episodio evidenzia non solo il coraggio di Modigliani nel rompere con le convenzioni artistiche del tempo, ma anche le sfide che affrontò nel far accettare la propria visione innovativa dell’arte.

Amedeo Modigliani fu pittore e scultore ma, nonostante una vita tormentata e breve, ha lasciato un segno indelebile nella Storia dell’Arte. Celebre per i suoi ritratti e nudi allungati, caratterizzati da eleganza e malinconia, visse un’esistenza segnata da stenti, malattie e dall’intenso amore per Jeanne, che condivideva la sua passione e il suo tragico destino. La figura di Modigliani è perfetta per il cinema perché abbraccia elementi di una storia universale: il genio incompreso, la lotta contro le avversità, l’intensità emotiva delle sue relazioni e la ricerca disperata di bellezza in un mondo crudele. Lui incarna il dualismo tra l’artista ribelle e l’uomo fragile, una complessità che permette la costruzione attoriale di interpretazioni stimolanti. Raccontare la sua vita sul grande schermo significa esplorare sì l’arte, ma anche il tratto umano dietro il talento.

Infine, una sintetica miscellanea di alcune opere di Amedeo Modigliani, creazioni che mostrano l’evoluzione del suo stile e la sua capacità di catturare l’essenza dei soggetti attraverso geometrie filiformi e colori vibranti, probabilmente guardate come volano visivo per l’estetica e l’emotività delle opere filmiche:

Ritratto di Pablo Picasso (1910)

Ritratto di Beatrice Hastings davanti a una porta (1915)

Nudo sdraiato (1917)

Ritratto di Jeanne Hébuterne (1918)

Jeanne Hébuterne con cappello (1918)

Autoritratto (1919)

 

 

 

 

 

autore
19 Gennaio 2025

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