Ci sono storie di atleti che non solo incarnano i più alti valori sportivi, ma che diventano veri e propri modelli da seguire, di perseveranza, coraggio e dedizione. Lo è sicuramente quella di Ambra Sabatini, atleta paraolimpica che ci ha insegnato l’importanza di non arrendersi e trovare speranza anche nei momenti più difficili. Celebre per essere riuscita a vincere l’oro alle Paralimpiadi di Tokyo nel 2020 e a conquistare un record mondiale nei 100 mt appena un anno dopo l’incidente stradale che le ha fatto perdere una gamba, Ambra si trova attualmente di fronte a un’altra sfida: riprendersi dalla caduta che le ha impedito di vincere ancora una volta a Parigi 2024.
Proprio da quel tragico momento, in cui inciampando privò della medaglia anche una sua compagna di squadra, inizia Ambra Sabatini – A un metro dal traguardo, il documentario di Mattia Ramberti che verrà proiettato l’8 maggio al cinema come evento speciale per le scuole. Dopo la prima scena, però, il film si riavvolge su se stesso, mostrandoci l’avvicinamento alla gara, con un counter dei mesi mancanti. Abbiamo così l’occasione di seguire gli allenamenti di Ambra, conoscere le persone che la circondano e rivivere i momenti più importanti – tragici ed esaltanti – della sua giovane vita: l’incidente in moto, la scelta di continuare a fare sport nonostante tutto, la ricerca di perfezionismo atletico e tecnologico (per quanto riguarda le protesi), i trionfi immediati, la volontà di sfruttare al meglio la propria popolarità diventando testimonial di Autostrade per promuovere la sicurezza stradale e la difficile gestione delle grandi aspettative in vista di Parigi, essendo diventata di colpo “la donna da battere”.
“L’idea è nata perché Ambra sta diventando un idolo per le nuove generazioni e ci interessava capire cosa si celasse dietro il personaggio. – afferma il regista – Per farlo l’ho seguita 12mesi, durante la preparazione per la sua grande sfida sportiva: vincere ai giochi di Parigi 2024. Durante le riprese ci sono stati per Ambra una serie di imprevisti, che sembravano scritti da un autore e che penso abbiano arricchito molto la storia”.
Quello che avrebbe potuto essere un documentario agiografico su una figura diventata improvvisamente popolare grazie al trionfo iconico a Tokyo (con annessa storica tripletta italiana sul podio), diventa qualcosa di più alto: una parabola che ci insegna il valore della fatica, l’ossessione per la vittoria e la dignità della sconfitta. “Nel film ho voluto mettere in luce il suo tempo interiore, raccontando come cambiala sua esperienza in relazione alla tensione che progressivamente aumenta e diventa sempre più ingombrante man mano che il giorno della gara si avvicina. – continua il regista – Per cui, il viaggio inizia con delle riprese molto tranquille, a cavalletto, montate in maniera distensiva e con una musica che accompagna le fasi della preparazione. Poi, gradualmente, la macchina da presa diventa sempre più viva, tenuta a mano, a tratti violenta, come la tensione che pervade la nostra giovane eroina”.
La struttura circolare che parte e finisce allo Stade-de-France è il valore aggiunto del documentario: vedere la scena della caduta – con tutta la sua insita tragicità – dopo avere compiuto un così lungo viaggio al fianco di Ambra, della sua famiglia e del suo team, dona emozioni del tutto nuove a un evento che già tutti conoscevamo. Il finale poi, così arioso e colmo di speranza, è una chicca che ci permette di apprezzare il modo in cui l’autore è riuscito a raccontare nel modo giusto una storia che avrebbe dovuto avere, nell’immaginario di tutti, un finale molto diverso. Una sconfitta che diventa un’occasione non solo sportiva, ma anche cinematografica e narrativa. Perché fare sport non vuol dire soltanto vincere una medaglia, ma anche cadere, rialzarsi e ricominciare.
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