CANNES – Al festival, Alice Rohrwacher ricopre il prestigioso ruolo di presidente della giuria della Caméra d’Or, il premio assegnato alla migliore opera prima presentata nelle sezioni ufficiali del festival: Selezione Ufficiale, Semaine de la Critique e Quinzaine des Cinéastes.
Ce ne parla con un incontro all’Italian Pavilion il primo giorno di kermesse.
“I primi momenti sono sempre importanti e ci accompagnano per tutta la vita – dice – Come entrare in una stanza sconosciuta, avvicinarsi per il primo bacio o sbarcare su una riva straniera. C’è qualcosa di dorato che avvolge questi momenti nella nostra memoria. È per questo che il premio più prestigioso per le opere prime si chiama Caméra d’Or. Sono rilassata, da presidente, meglio che in gara. Ho solo la speranza di trovare in queste opere prime un segno di cambiamento che inceppi il sistema.
Le opere prime, a prescindere dagli errori e dalle difficoltà, chiudono in uno scrigno l’anima dell’autore e la necessità. C’è l’intrattenimento ma anche questo senso di necessità, che sento fortemente anche nel nostro paese.
Questo non significa che ci sia sempre lo spazio per potersi esprimere, e in particolare, in tutta Europa, c’è una dipendenza forte dai finanziamenti pubblici. È impossibile esordire altrimenti, senza il sostegno del pubblico.
È un argomento delicato, andrebbe protetto, tuti insieme, perché chi amministra i fondi pubblici diare importanza alle opere prime e alla loro diversità.
Circa la presenza femminile, dice l’autrice “era ora, dopo 4mila anni. Sono contenta di farne parte, ma l’obiettivo sarà non doverne più parlare. Il cambiamento è reale da quando le donne sono coalizzate. Il più grande nemico di una prima donna sono le altre donne. Anche questo fa parte del patriarcato. Questo meccanismo della ‘prima donna’ ora è fortunatamente sradicato e lo sguardo artistico unisce donne e uomini”.
Unirsi e coalizzarsi, approfondisce Rohrwacher “trasforma le parole da chiacchiere ad azioni giudiziari. Non vale solo per la questione femminile, ma per ogni cambiamento di tipo politico”.
Tra l’altro, la sorella Alba è nella giuria del concorso: “Quando mi hanno chiamata – dice Alice – pensavo che avessero sbagliato numero. Ma volevano tutte e due. Sono felice per il cinema italiano, è bello sapere che lei è qui in un’altra giuria a un isolato di distanza. Ci siamo sempre sostenute. Non abbiamo neanche un film in comune da giudicare. Un caso più unico che raro. Ma di opere prime ce ne sono 28, anche il film d’apertura è un’opera prima. C’è voglia di cambiare. Sono curiosa di vedere lo sguardo dei giovani sul mondo. Ha sfruttato il modo di vedere il mondo dei vecchi governanti. Abbiamo bisogno di segni e semi di un futuro imprevisto e imprevedibile”.
“Dal mio primo film – racconta scherzando – ho imparato cosa fosse una ‘segreteria di edizione’. Avevo capito ‘segretaria di dizione’. Pensavo fosse un residuo della dittatura! Poi ho capito la sua importanza. Per il resto sono come Lazzaro Felice, non cambio mai. Corpo Celeste è stato presentato proprio qui a Cannes nel 2011, è stato un film del tutto libero, oggi vederne errori e imperfezioni è prezioso. Il primo film è la possibilità più grande che abbiamo, di non farci scrupoli e andare dritti alla nostra più pura necessità”.
Nel futuro, racconta, due film e una serie.
“Sarà bello litigare con gli altri membri della giuria – prosegue. E poi fare pace. Voglio dimostrare al mondo che la pace è possibile”.
Circa il suo rapporto particolare con l’Oltralpe: “Sono grata alla Francia, anche alla mia insegnante di francese del liceo. Così ho avuto accesso anche al sistema di coproduzioni. Ma amo l’Italia, un amore straziante. Chi amiamo ci ferisce di più. È un paese straordinario, ma di cui si considera solo la cultura eno-gastronomica. La cultura è altro: precipizio, bordo, frontiera, ciò che ci fa cambiare prospettiva. Ne La chimera ho messo una donna che si chiama Italia, e che nasconde sotto il letto i figli meticci. Ma sono il nostro futuro, questi figli. La missione del cinema è quella di rendere straniero il nostro sguardo. Essere in un paese che mi guarda cin gli occhi du uno straniero mi dà importanza”.
Thierry Frémaux ha nominato la regista “tra gli eredi dei Lumière”. “Beh – dice – sono due fratelli, come me e mia sorella. Mi piace come paragone, perché il cinema è fratellanza. Col cinema delle origini condiviso il senso di sorpresa, per una tecnologia che sa stupirci. L’immagine mette insieme cose che siamo abituati a pensare separate. E l’immagine le unisce. Questo è evidente nel cinema dei Lumière, un valore che trascende il puro intrattenimento e che sganci e liberi il nostro sguardo rispetto alla storia”
“I film ovviamente – conclude – hanno la loro vita al di là dei premi, tuttavia darne uno è una grande responsabilità”.
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