‘ACAB’, Stefano Sollima: “Anche nella serie evitiamo giudizi morali”

Dal 15 gennaio su Netflix la serie ispirata all'omonimo libro di Carlo Bonini, già adattato nel 2012 in un film di Stefano Sollima, qui produttore esecutivo. Nel cast torna anche Marco Giallini nei panni di "Mazinga"


A 13 anni dall’uscita del film di Stefano Sollima, ACAB – La Serie torna a raccontare una squadra mobile di polizia ma in sei episodi, prodotti da Cattleya (parte di ITV Studios) e disponibili dal 15 gennaio su Netflix per la regia di Michele Alhaique. Protagonisti, Marco Giallini, che torna a indossare la divisa di “Mazinga”, Adriano Giannini, Valentina Bellè, Pierluigi Gigante, Fabrizio Nardi e Donatella Finocchiaro. “È un progetto che abbiamo considerato subito necessario e urgente, perché racconta il tema universale e attualissimo della dialettica tra ordine e caos”, racconta Tinny Andreatta, vicepresidente per i contenuti italiani di Netflix. “Questo lavoro si spinge oltre la semplice etichetta di crime o action, portando in primo piano la complessità umana dei poliziotti e l’ambiguità di un contesto sociale in cui rabbia e violenza possono esplodere da un momento all’altro”.

Riccardo Tozzi, fondatore e CEO di Cattleya, sottolinea come ACAB si inserisca pienamente nel percorso già tracciato tra libro e film: “Volevamo raccontare una realtà ancora più ampia e stratificata. Il fulcro rimane il grande tema del monopolio della forza, affidato dallo Stato alle forze dell’ordine, e l’equilibrio delicatissimo tra sicurezza, libertà e caos. È una storia che spinge il pubblico a porsi domande senza dare risposte scontate”. Il libro e il film nacquero all’indomani dei fatti del G8 di Genova, in un momento storico diverso. “Adesso sicuramente c’è più consapevolezza – ha spiegato l’autore del libro Carlo Bonini –. Oggi le forze dell’ordine dispongono di nuovi strumenti: penso all’ingresso delle donne nei reparti mobili, alle body cam. Manca ancora qualche passo avanti, come l’adozione di un codice identificativo alfanumerico, ma l’importante è uscire dallo schema ‘sto con la polizia o contro'”.

Stefano Sollima, già regista del film e ora produttore esecutivo della serie, racconta come si sia scelta nuovamente la prospettiva di chi la divisa la indossa: “L’idea è stata di restituire il punto di vista di questi poliziotti, senza giudicarli. Così facendo, lo spettatore è libero di interrogarsi: è una storia che pone domande forti, ma non offre soluzioni ‘comode’. Quello che conta è non cadere nell’errore di piegare il racconto su un giudizio morale, perché il pubblico deve poter arrivare alle proprie conclusioni in modo onesto”.

Nella direzione dei sei episodi, Michele Alhaique ha trovato il modo di connettere la sfera privata e pubblica dei personaggi: “Ho voluto costruire una tensione costante, che non si limitasse alle scene di piazza o alle azioni più concitate. Dentro la divisa c’è un individuo con le sue fragilità, i suoi conflitti interiori. Attraverso la musica, i movimenti di macchina e la recitazione, ho cercato di rendere tangibile il loro tumulto psicologico”.

Anche Filippo Gravino, che firma la sceneggiatura insieme a Bonini, insiste sullo sguardo sul presente: “Viviamo in un tempo in cui la paura e la rabbia sociale sembrano unire realtà molto diverse. La serie scatta una fotografia aggiornata, che resta fedele al DNA di ACAB ma lo proietta in un contesto nuovo, segnato da un senso di smarrimento più estremo e diffuso”.

Al centro del racconto, naturalmente, ci sono i personaggi. Marco Giallini, unico membro del cast a riprendere il ruolo di allora, spiega: “Rimettere la divisa di Mazinga dopo tanti anni è stato insieme strano e naturale. Ho preferito non ripensare troppo al film, per non essere condizionato, e ho cercato di immaginare un Mazinga che ha vissuto altri quattordici anni di vita, cambiando lui stesso e cambiando sguardo sul mondo”. Adriano Giannini sottolinea la tensione costante tra il ruolo del poliziotto e la convinzione di poterne cambiare il volto: “Il mio personaggio entra in un contesto particolarmente duro, cercando di “migliorarlo”, ma finisce per rimettere in discussione se stesso. Il conflitto, per chi fa questo lavoro, si gioca spesso in pochi secondi, nel passaggio da un ideale di giustizia a doverne applicare la forma più severa in piazza”. Unica donna nel reparto mobile, Valentina Bellè (Marta nella serie) descrive così la propria scelta interpretativa: “Ho cercato di “annullare” la mia femminilità, perché Marta difende sé stessa trasformandosi in una sorta di guerriera. Non so se sia giusto o sbagliato, ma lei è convinta che non ci sia un altro modo per sopravvivere in quel contesto, dopo ciò che ha vissuto nella sua vita privata”.

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13 Gennaio 2025

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