A Hebron, nel laboratorio dell’odio


Luogo del male e città santa, Hebron è il cuore lacerato del bel documentario di Giulia Amati e Stephen Natanson, tra i cinque candidati al Nastro d’argento accanto a un regista di peso come Gabriele Salvatores (con 1960) e al film sulla Costituzione italiana raccontata da Ligabue. Ma la scelta del Sngci è più che giusta perché This is my land… Hebron è un film importante, che ci porta dentro al paradosso forse più estremo dell’apartheid in cui il popolo palestinese è costretto a vivere. Hebron, fiorente città della Cisgiordania, crocevia dei commerci da Damasco verso l’Egitto, è oggi “ostaggio” dell’esercito israeliano. Circa 600 coloni contro 160mila palestinesi, la strada principale, Al Shuhada Street, un tempo animata e vitale, oggi deserta, con le botteghe sbarrate e una barriera di cemento armato che l’attraversa e oltre la quale agli arabi non è permesso di camminare. I check point in pieno centro, le reti alle finestre e sopra il suk, per proteggersi dalle sassate e dalla spazzatura gettata dall’alto. Bambini ebrei allevati alla violenza, a tirare sassi e sputare contro i propri coetanei.

 

Il 4 aprile del ’68, subito dopo la guerra dei Sei Giorni, il rabbino Moshe Levinger e un gruppo di trenta ebrei decisero di stabilirsi vicino alla tomba di Abramo, luogo sacro per le tre religioni monoteiste. Fingendosi turisti svizzeri si registrarono al Park Hotel, due giorni dopo presero il controllo dell’albergo rifiutando di andarsene. This is my land… Hebron – che è stato candidato anche al David di Donatello, ospite della rassegna Human Rights Watch organizzata da Amnesty a Londra, e sarà a fine giugno al Lincoln Center di New York su iniziativa delle Nazioni Unite – mostra l’assurda quotidianità della città, questa guerra in cui il nemico è il vicino di casa. Ma dà voce anche ai coloni e alla loro ideologia e al sentimento che li muove attraverso le testimonianze raccolte da Stephen Natanson. Documentarista anglo-polacco di origine (ma cittadino italiano) che è riuscito a conquistare la fiducia degli ebrei di Hebron registrando le parole, in particolare, del loro portavoce David Wilder. “Non aspiro all’espulsione forzata dei palestinesi – dice Wilder – ma credo che se vedessero masse di gente arrivare semplicemente per insediarsi qui, molti di loro se ne andrebbero spontaneamente”. E ancora invoca l’impiccagione per il “traditore” Yehuda Shaul, un ex soldato israeliano che ha fondato Breaking the Silence e organizza visite guidate per spiegare i perversi meccanismi dell’occupazione. Un altro progetto umanitario che ha nutrito il documentario è quello di B’Tselem, organizzazione che ha distribuito piccole videocamere alle famiglie palestinesi per consentire di documentare ingiustizie e soprusi secondo il meccanismo dello shooting back.

 

Giulia Amati ci racconta la genesi del progetto, che parte da un suo soggiorno di tre mesi in città per insegnare filmaking. “Ho trovato una realtà che non mi aspettavo e che mi sembrava impossibile. Su Hebron si possono leggere tante cose, statistiche e dati, ma vivere la quotidianità è un’altra cosa… Le sassate, le reti alle finestre, il senso di angoscia e di claustrofobia. Non è una situazione eclatante, come a Gaza, con i bombardamenti e le stragi, ma consente di capire la logica dell’odio in Cisgiordania. Intere generazioni crescono umiliate, da una parte, o costrette a considerare il vicino come un terrorista, dall’altra. E’ una dimensione diabolica, il laboratorio del male, come dice il giornalista israeliano Gideon Levy. E’ come se uno scienziato pazzo avesse messo in gabbia 160mila persone”.

Follia lucida, che rivela progressivamente un progetto di pulizia etnica. “Si vuole portare la gente palestinese alla disperazione e farla andare via”, sintetizza Giulia. Mentre Stephen Natanson riflette: “I coloni sono costantemente alla ricerca di una autopromozione del proprio punto di vista. In ogni società esistono i fanatici, ma generalmente vengono emarginati, mentre questi sono protetti e finanziati dallo Stato israeliano”. Il suo ruolo nel progetto è stato proprio quello di testimone neutro, capace di captare le loro ragioni. “Quando ho capito che raccontare questa storia senza il punto di vista dei coloni sarebbe stato inutile – dice ancora Giulia – ho pensato che era necessario chiamare Stephen, perché io ormai ero troppo identificata come amica dei palestinesi”. Adesso i due autori sperano che il film possa essere proiettato in Israele. “In questo – racconta Natanson – ci stanno aiutando gli ebrei pacifisti del Centro Martin Buber, che hanno visto il film a Roma e lo sostengono. La questione non è certamente religiosa, ma territoriale. Del resto la situazione di Hebron, a ben vedere, è insostenibile per entrambe le parti”.

 

I due nuovi progetti della coppia di documentaristi li porteranno ancora in giro per il mondo per parlare delle comunità utopiche e del ruolo dei giochi nel cambiare la società. I premi aiutano? “Il documentario in Italia è una piccola nicchia, non abbiamo certo il telefono che scotta, ma questi riconoscimenti sono comunque importanti, se non altro per darci la spinta e la motivazione a continuare”.

autore
27 Maggio 2011

Articoli

Una delle illustrazioni del progetto
Articoli

Argento Reloaded by Luca Musk

L'artista Luca Musk e Franco Bellomo presentano il progetto espositivo dedicato al Maestro del Brivido. Una collezione di illustrazioni d'atmosfera che fanno rivivere i set di Argento e la loro magia

Articoli

The Arch., quando gli architetti diventano oracoli

Il documentario d'esordio di Alessandra Stefani ci porta in un viaggio lungo i quattro continenti alla scoperta delle prospettive che ci offrono i più importanti architetti contemporanei per un mondo più sostenibile. In sala con Adler dal 27 al 29 settembre

Articoli

Buon 2018 ai lettori di CinecittàNews

La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.

Articoli

Cattivissimo 3 sfiora i 15 milioni

E' ancora Cattivissimo 3 a guidare il box office per il terzo weekend, con 2.471.040 euro. Al 2° posto, con 1 mln 919mila euro, sfiorando i 6 mln totali, il kolossal di Christopher Nolan Dunkirk


Ultimi aggiornamenti