’28 anni dopo’, Danny Boyle: “Le paure di oggi tra Brexit e Teletubbies”

L'atteso ritorno dell'horror scritto con Alex Garland arriva nei cinema italiani il 18 giugno con Eagle Pictures. Il regista premio Oscar ha incontrato la stampa a Roma: "Questa è una storia ancora più ambiziosa"


Dal 18 giugno nei cinema italiani con Eagle Pictures, 28 anni dopo è il sequel del cult horror diretto da Danny Boyle e scritto da Alex Garland nel 2001, 28 giorni dopo. Il regista britannico, a Roma per presentare il film alla stampa, ha raccontato le profonde ambizioni di questa storia – che si svilupperà in una nuova trilogia -, tra critica sociale e introspezione psicologica, senza tralasciare riferimenti a fatti di cronaca come la Brexit o al Covid.

Alex Garland e io parlavamo di un sequel di 28 giorni dopo da anni”, rivela Boyle. “Ci siamo confrontati su tante idee diverse senza mai esserne troppo convinti. Poi Alex è venuto da me con quella alla base di questo film e ci siamo decisi. Una storia che si svolge un cospicuo numero di anni dopo, che è più grande e ambiziosa e tocca tanti temi, come la Brexit, e persino i Teletubbies”. Un accostamento apparentemente bizzarro, ma che trova senso nel film: il prologo si apre con i Teletubbies, un’immagine enigmatica che si chiarisce solo nel finale aperto, già pronto a introdurre il secondo capitolo della trilogia, diretto da Nia DaCosta e previsto per l’inizio del 2026, con Cillian Murphy (protagonista del primo film e qui produttore esecutivo) potenzialmente nel cast.

Ambientato in un Regno Unito isolato dal mondo dopo la diffusione del virus, 28 anni dopo segue una famiglia di sopravvissuti che vive su un’isola fortificata, collegata alla terraferma da un sentiero visibile con la bassa marea, in una comunità che ricorda una tribù. I protagonisti sono Jamie (Aaron Taylor-Johnson), Isla (Jodie Comer), madre malata, il loro figlio dodicenne Spike (Alfie Williams) e un enigmatico personaggio interpretato da Ralph Fiennes. Quando Jamie porta Spike sulla terraferma per il suo “battesimo di sangue” contro gli infetti, il ragazzo scopre segreti che lo spingono a ribellarsi. “Il percorso del film è quello di Spike, che si presuppone debba seguire quello di suo padre e della sua comunità, un percorso molto tradizionalista, legato al nazionalismo degli anni Cinquanta, alla Brexit,” spiega Boyle. “Ma le sue decisioni riflettono invece le traiettorie del progresso. Spike va avanti da solo, verso il pericolo, certo, ma anche verso un progresso”.

La rabbia, tema centrale del primo film, si evolve in 28 anni dopo. “28 giorni dopo raccontava di una rabbia letale ma che allora era in qualche modo occasionale, episodica: oggi la rabbia sembra l’impostazione di default della nostra società, e passa da 0 a 100 in un istante, senza sfumature intermedie,” riflette Boyle. Parte di questa rabbia deriva dal rapporto con la tecnologia: “I social e i telefoni ci hanno dato molto potere, ci fanno sentire importanti e al centro del mondo quando in realtà non lo siamo, e da questa realizzazione nasce la rabbia”.

“Volevamo fare un film che fosse incentrato sulla famiglia,” sottolinea Boyle. “Certo, 28 anni dopo parla di orrore e rabbia, ma parla anche della natura della famiglia, di cosa accade all’interno delle famiglie, come queste si possono fratturare e come possano essere luogo in cui si generano dei traumi. Volevamo che questo fosse un elemento sorprendente del nostro film, che ha una parte emotiva molto potente che ne espande le ambizioni”.

L’ombra del Covid-19, con le sue città deserte che all’epoca avevano ricordato a molti proprio le sequenze iconiche di 28 giorni dopo, ha inevitabilmente influenzato la narrazione. “Certamente vedere che in qualche modo quel che avevamo immaginato era diventato realtà ci ha dato una diversa percezione del pericolo, e ha in qualche modo alimentato la nostra nuova storia,” confessa Boyle. “Ma ancora di più l’ha alimentata il modo in cui abbiamo iniziato a convivere e a adattarci al Covid: e così, nel film, per quanto riguarda i sopravvissuti era interessante vedere come man mano ci si prende sempre più rischi e libertà, e per quanto riguarda gli infetti è stato ancora più interessante vedere come il virus stesso si adatta e muta per rimanere in vita. Gli infetti di questo film, infatti, hanno imparato a cacciare, a lavorare in branchi, e ci sono dei veri e propri leader, che chiamiamo Alfa”.

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11 Giugno 2025

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